Sarà capitato anche a te di conoscere insegnanti, di lingua e non, con un approccio all’insegnamento piuttosto… standard. Si incontrano nuovi concetti, nuove parole, nuove nozioni? Le si scrive in una bella lista per impararle a memoria. E via così, lezione dopo lezione.
Io ne ho avuti un paio, di professori così, ma quando sei adolescente hai già una scarsa consapevolezza di come funziona l’apprendimento, figuriamoci l’insegnamento. Una cosa però l’avevo notata: a furia di accumulare “cose”, dopo un po’ la mia testa non tratteneva più niente. Anzi diciamo pure subito.
Per fortuna oggi (ma già allora, a dire il vero) si può attingere da una ricca biblioteca di studi che dimostrano che le liste decontestualizzate servono a ben poco.
Eppure, mi sono resa conto che nel percorrere il mio (personalissimo) percorso di apprendimento dell’inglese inciampo molto frequentemente in quegli stessi errori che contesto ai professori di cui sopra.
Cerco disperatamente fonti che possano aiutarmi ad assorbire nuovo lessico, che pretendo di imparare a usare dopo una sola esposizione, per poi rendermi conto di andare completamente in panico quando sarebbe il momento di mettere in pratica tutta quella conoscenza che ho cercato di auto-inculcarmi nella testa.
Il risultato è prevedibile: mi deprimo, penso di non sapere nulla, penso che tutti i miei sforzi siano stati vani o di non essermi impegnata abbastanza.
E poi, come spesso accade, succede qualcosa che mi desta dal torpore (o dall’ostinazione!).
Per esempio questa settimana mi è capitato di fare un lungo colloquio in inglese con una persona dalla personalità molto calma. La circostanza in cui ci siamo ritrovati mi aveva ulteriormente fatto rilassare: basse aspettative reciproche legate alle nostre caratteristiche personali, elevato interesse per un medesimo scopo. La lingua inglese – in quel momento – era il mezzo, non il fine.
Che poi non è forse questo il senso della lingua? Comunicare? Fatta eccezione per il caso meta-linguistico (cioè parlare della lingua stessa) la risposta è sì.
Insomma, per una volta ho lasciato da parte i dubbi e le incertezze e ho dato valore a ciò che già sapevo, scoprendomi a utilizzare espressioni e parole che non avevo mai usato.
E se non fossimo scatole da riempire?
Forse, più che inserire nella scatola un’elenco di cose che non sappiamo e che dovremmo sapere, avremmo bisogno di qualcuno (o qualcosa) che ci permette di arrivarci da soli, con i nostri tempi e le conoscenze che già abbiamo.
Un insegnante madrelingua con cui conversare, un libro che ci racconta una storia da scoprire, una situazione da affrontare.
Può essere anche un film, non importa, basta considerarlo un’esperienza… non qualcosa da inserire nella scatola.
Fammi sapere che ne pensi, se ti va.