Quando l’anno scorso ho iniziato le mie prime lezioni di inglese online con un insegnante madrelingua, lui continuava a insistere nel chiedermi quali fossero i miei obiettivi.
Da insegnante esperto quale è, non si accontentava del mio “voglio migliorare il mio inglese” e, anzi, quando ho azzardato a suggerirgli che forse spetta all’insegnante definire gli obiettivi del corso, è andato su tutte le furie.
“Se non hai in mente dove vuoi andare, non arriverai da nessuna parte” mi diceva. E io annuivo, pensando di capire. Ma non avevo capito proprio un bel niente.
Una volta concluso il corso, ho cercato di continuare a studiare in modo autonomo. Beh, forse “studiare” è una parola grossa. Diciamo pure che ho cercato (e spesso trovato, come ti dico qui) modi alternativi di imparare l’inglese. Ho riflettuto molto sul mio ruolo di apprendente e, soprattutto, su quali fossero i miei obiettivi. Ma, di nuovo, finivo col formularli in modo troppo generico: “Diventare più fluente”, “Capire tutto quello mi viene detto”… e così via.
Quest’estate sono stata a un matrimonio in cui erano presenti molti ospiti stranieri e per comunicare in gruppo era necessario utilizzare l’inglese.
Gli scambi erano velocissimi, tanto che faticavo a seguire l’andamento delle conversazioni al 100%, ma riuscivo comunque a comprendere il quadro generale. Cercavo di impegnarmi a stare al passo, per rendermi simpatica agli occhi di queste nuove persone brillanti che mi trovavo di fronte.
A un certo punto, abbiamo tutti assistito a una scena divertente e una ragazza ha detto “I’m peeing in my pants!” che, parafrasando in italiano, significa “Me la sto facendo addosso”. Dal ridere, ovviamente.
Con il mio solito tempismo e la mia consueta ingenuità, ho pensato bene di ribattere: “You don’t wear pants.”
Cosa è successo? Un enorme misunderstanding che poteva essere evitato. Poteva, appunto.
Per comprenderlo, focalizziamoci sulla parola chiave e cioè “pants”. In inglese, questa parola ha un duplice significato: può significare “pantaloni” (suona così anche in italiano, no?) ma anche “mutande”. Di solito il primo uso è quello americano e il secondo è britannico, ma per lo più lo si deduce dal contesto.
Ora capisci che questa povera ragazza si è sentita dire da una perfetta sconosciuta “Tu non indossi le mutande”.
Non so dirti quale rocambolesco tentativo di risultare simpatica stessi tentando (ovviamente volevo dirle “tu non indossi i pantaloni, ma un vestito!”), fatto sta che il risultato è stato disastroso.
Questo vergognoso episodio (l’ennesimo e sicuramente non ultimo di una lunga serie) mi ha fatto capire alcune cose:
- Che l’ironia prevede un livello di competenza linguistica molto alto, il più alto! Ma anche competenze socio-culturali da non sottovalutare (Chi è la persona a cui ci stiamo rivolgendo? Qual è il suo vissuto? Qual è l'”implicito” necessario affinché l’ironia risulti efficace?)
- Che sbagliando, si impara (eh sì, magra consolazione!)
- Che ho finalmente trovato il mio obiettivo, quello su cui voglio lavorare per migliorare davvero il mio inglese: il mio punto debole.
Dopo questa figuraccia (meglio se non ti racconto le altre) ho ammesso a me stessa che il mio punto debole sono le formule di cortesia in inglese. Mi riferisco a tutte quelle consuetudini linguistiche, frasi di circostanza ed esclamazioni che ci proteggono dagli “scivoloni” e ci fanno fare la figura di chi sa stare al mondo.
Come ci si presenta a una persona inglese la prima volta? Cosa è lecito chiederle? Cosa si dovrebbe evitare di dirle? Quali frasi usare per commentare una sua affermazione? Come si reagisce a una battuta? Come si passa agilmente da un argomento scomodo a uno più sicuro?
Nella sezione “Conversazione” ho trovato alcuni spunti utili, per tutto il resto, continuerò a provare a immergermi nella lingua il più possibile… e a imparare dai miei errori.